Usa cercano di cambiare messaggio su Gaza
(Adnkronos) – Allarmati dal progressivo aumento della rabbia del mondo arabo per Gaza – non solo nelle strade, ma anche negli uffici governativi, le redazioni dei giornali e gli altri ambienti a cui si affidano i diplomatici Usa per sondare gli umori dei Paesi ospitanti – gli Stati Uniti sono impegnati in un’offensiva mediatica (oltre quella diplomatica per convincere Israele ad accettare le pause umanitarie) per cercare di cambiare il messaggio con cui spiegare la loro posizione al fianco di Tel Aviv.
E’ la Cnn oggi a rivelare come al dipartimento di Stato stiano arrivando cablogrammi di ambasciatori della regione che raccontano come quello che appare come il sostegno pubblico ed incondizionato degli Stati Uniti alla distruttiva campagna israeliana a Gaza “ci stia facendo perdere il sostegno dell’opinione pubblica araba per generazioni”.
Così recita il messaggio scritto mercoledì dal numero 2 dell’ambasciata americana nell’Oman – inviato anche a Casa Bianca, Cia e Fbi – in cui si avvisa che Washington sta “malamente perdendo la battaglia sul piano del messaggio” e a loro viene addebitata una sorta di complicità “materiale e morale di quelli che vengono considerati possibili crimini di guerra” commessi dagli israeliani a Gaza.
La cosa che allarma di più l’alto diplomatico Usa a Muscat è che questi commenti arrivino non dalle piazze, ma “da molti dei fidati e moderati contatti” dell’ambasciata. Ed un messaggio analogo arriva da un altro cablogramma, rivelato sempre dalla Cnn, dell’ambasciata americana al Cairo in cui si cita un editoriale di un giornale governativo in cui si afferma che “la crudeltà e il disprezzo di Biden per i palestinesi supera quello di tutti i precedenti presidenti americani”. Parole che non possono non riferirsi alle dichiarazioni con cui Biden ha messo in dubbio la veridicità del bilancio delle vittime di Gaza, perché fornito dal ministero della Sanità controllato da Hamas.
Dichiarazioni che forse hanno segnato il punto massimo del sostegno senza ma e senza se di Washington ad Israele – per il quale Biden ha chiesto al Congresso oltre 14 miliardi di dollari per altre forniture militari per la guerra a Gaza – e l’inizio di un lento riposizionamento – alla luce appunto delle analisi allarmate che arrivano dai diplomatici dal mondo arabo e tensioni interne anche allo stesso partito democratico – delle dichiarazioni americane. Si continua a ribadire il sostegno al diritto di Israele a difendersi dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre, ma si enfatizza il fatto che è cruciale la questione del “come” questo avviene.
Protagonista di questo spostamento è stato in particolare il segretario di Stato, Antony Blinken, impegnato da un mese in una shuttle diplomacy in tutta la regione per scongiurare un allargamento del conflitto, che oggi a Nuova Delhi forse ha pronunciato le parole più forti sulla questione delle vittime civili, oltre 10mila, a Gaza e sulla questione dell’assedio totale in cui ormai da oltre un mese Israele ha chiuso gli oltre 2 milioni di abitanti della Striscia.
“Troppi palestinesi sono stati uccisi, troppi hanno sofferto nelle ultime settimane, vogliamo fare tutto il possibile per evitare danni e aumentare l’assistenza per loro”, ha detto il capo della diplomazia Usa, spiegando che per questo “continueremo a parlare con Israele dei passi concreti da fare per questi obiettivi”. E poi ha ribadito una serie di paletti importanti per Washington: “Niente ricollocamento forzato dei palestinesi da Gaza. No all’uso di Gaza come piattaforma per lanciare attacchi terroristici o di altro tipo contro Israele. Niente riduzione del territorio di Gaza e un impegno alla governance palestinese per Gaza e la Cisgiordania, in modo unificato”.
Interessante notare che lo stesso, nuovo, messaggio di Washington è stato illustrato in una conferenza stampa, organizzata dal regional media hub di Dubai del dipartimento di Stato, durante la quale David Satterfield, l’inviato speciale per le questioni umanitarie in Medio Oriente, vale a dire a Gaza.
Tra le domande dei giornalisti, prevalentemente del mondo arabo, la richiesta di un commento alle dichiarazioni israeliane secondo le quali a Gaza non c’è crisi umanitaria: “Per gli Usa, i nostri partner dell’Onu e la comunità internazionale, c’è una grave e continua necessità di cibo, medicine e acqua, questo è reale e deve essere affrontato”, ha risposto l’ex ambasciatore in Libano e Iraq, che ha più volte insistito sul fatto che “dobbiamo fare di più” per Gaza.
Satterfield è stato poi anche molto chiaro sulla questione del ricollocamento dei palestinesi di Gaza: “Il futuro degli abitanti di Gaza è in Gaza e in nessun altro posto. Noi non sosteniamo, come principio, il ricollocamento della popolazione di Gaza, anche all’interno di Gaza: quelli che ora sono nel sud devono avere la possibilità di tornare al nord quando sarà sicuro farlo”, ha detto.
“Gli Stati Uniti privatamente e pubblicamente hanno detto che ci deve essere un fondamentale ruolo palestinese nel decidere il futuro della Cisgiordania e Gaza e che non ci può essere la separazione di Gaza come questione politica dal futuro della Cisgiordania”, ha detto ancora il diplomatico Usa, rispondendo alle domande dei giornalisti delle testate di quotidiani del mondo arabo, ribadendo la convinzione che questo debba avvenire nella cornice della “soluzione dei due Stati che è la massima garanzia per un futuro pacifico” per israeliani e palestinesi.
Il diplomatico ammette però che se questa “è la cornice”, il modo in cui arrivare a questo obiettivo “dipende dalle circostanze”, ed in particolare “da come finisce questa campagna, se Hamas è eliminata come minaccia” che rappresenta per israeliani e per la popolazione stessa palestinese. Ma non ha poi escluso come una soluzione “a cui lavorare” quella di una “forza regionale internazionale che muova verso il ruolo palestinese a Gaza e Cisgiordania”.