Sergio Cammariere: “La Musica è Libertà”

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L’Estramurale Molignani pullulava di gente. Dalla pace del mare lontano una voce limpida e vellutata si leva oltre un riff continuo e raffinato. Un uomo alto e sottile dagli abiti semplici e modi eleganti accarezza gli avori tasti di un pianoforte. Incanta e convince. Lui, che musicista da sempre si è scoperto cantautore di successo, trasforma emotività ed interiorità in una sorprendente creatività. È Sergio Cammariere, ospite di punta della Rassegna “Cuore di Banda” del Comune di Acquaviva.

Al termine del concerto lo raggiungiamo al “Caffè dell’Orologio” e parte un viaggio a ritroso misto a pensieri e parole a cui fa seguito una leggera eco nel vento da tarda estate oltre i ricordi e le persone.

In una recente intervista ha dichiarato: “Il pianoforte ed il mare sono la mia libertà”. Siamo ad Acquaviva delle Fonti, porta delle Murge. Il mare non c’è ma le hanno procurato un pianoforte. Com’è, dunque, la situescion?

«È tutta da immaginare. In verità più che di un concerto si è trattato di un’operazione teatrale, un allestimento che ha coinvolto anche questa giovane banda, con la quale abbiamo eseguito Nuova Italia. È un brano di qualche anno fa, poi divenuto leitmotiv di un film, l’Abbuffata, del mio amico regista Mimmo Calopresti. Questa canzone ha rappresentato nel contesto del film l’indignazione verso l’arte dimenticata. Purtroppo, siamo finiti in una situazione peggiore: la pandemia ci ha isolati ancor di più. Pertanto, ben vengano queste nuove forme di comunicazione e di spettacolo».

La sua declinazione di libertà è “pacifista ed anarchica”. Il suo ultimo libro è “Libero nell’aria”, dal titolo di una sua canzone di qualche anno fa. Che rapporto ha con la libertà?

«Sono nato in via Libertà. Mi chiamo Sergio Libero. Tutto quello che ho fatto l’ho realizzato nel nome della libertà, anche pagandone il prezzo. Essere uomini liberi non è affatto semplice. In questo aiutano molto l’umiltà e la propensione al sacrificio ed alla resistenza. In questo libro racconto la mia infanzia e adolescenza, quando il piccolo Sergio sognava di fare il musicista, ma anche il distacco dalla mia terra e l’itinerare per mille luoghi nel mondo vivendo per la musica. La libertà è anche questo: riuscire ad avere un sostegno economico puntando sulle tue forze».

Certamente, ma questo libro è anche l’ennesima occasione di collaborazione, di condivisione con altri. Da Sergio e Mario a Roberto Kunstler…

«L’arte ti consente di condividere con altre persone un mondo di fantasia. La condivisione è lo spazio della meraviglia per le note altrui. È quanto successo stasera con il mio Trio mediante anche note non prestabilite, quasi fossero in viaggio. Queste affascinano, fanno breccia nella nostra anima ed in questa ineffabilità si coglie proprio quello che il mistero della musica, un’arte così pura e grande che raccoglie sensi immaginativi, ispirativi, intuitivi. Per quanto mi riguarda si tratta di una missione, a cui sono rimasto sempre fedele anche quando mi son trovato in una situescion come quella sanremese, che poi in fondo è andata anche bene. Nel libro ho provato a raccontare questa condivisione a partire dagli incontri che mi hanno aiutato fin dall’adolescenza. Tra questi c’è anche Mario Bertotti con cui abbiamo suonato in tutti i locali della Costa Smeralda come a via Veneto a Roma. Ricordo con piacere quel periodo in cui amavano suonare ciò che ci piaceva: dai Pink Floyd ai Procol Harum fino alla canzone d’autore Guccini e De André. E la gente che ci seguiva ci distingueva da un semplice piano bar”. In quel periodo mi capitò anche di arrangiare un disco di canzoni romane eseguita con un sound“Anni Ottanta” da parte di un altro duo Fabio (Torregrossa) e Maurizio, in cui il fonico e chitarrista, Paolo Carta, è l’attuale compagno di Laura Pausini. Con Roberto Kunstler sono quasi trent’anni che lavoriamo insieme. Sicuramente ci ha unito l’amore verso la poesia, oltre che la musica stessa. Cerchiamo insieme di creare delle canzoni che rimangano nel tempo, non pezzi destinati ad una sola stagione, bensì brani che ci auguriamo possano essere ricordati. È una nobile ambizione, con “Tutto quello che un uomo” ci siamo riusciti e a vent’anni dalla sua pubblicazione è uno dei brani più coverizzati. Credo che lo scopo di ogni musicista sia proprio questo, fare in modo che le proprie opere siano fruite nello spazio e nel tempo, regalando a più persone possibili momenti di pace e serenità».

E la musica attuale?

«Ciò che è cambiato oggi nella musica che ascoltiamo è la fruizione di una musica forse troppo precisa, completa, editata che toglie tutte le sfumature e le incertezze, che poi denotano l’unicità di una esecuzione o di una interpretazione. Per carità, sono affascinato da questo suono ben costruito e fa parte dell’evoluzione dei nostri tempi. Tuttavia, forse sono l’ultimo erede di una tradizione di chansonnier. Mi piace tutta la musica: dalla classica al jazz fino a quella attuale. Amo però la condivisione della nascita delle note come anche creare al momento in una improvvisazione continua. Pensi che il disco “Piano nudo” nasce da applicazioni quotidiane, sequenze riascoltate ed elaborate».

Siamo gli incontri che facciamo. Per lei quello con “Per Elisa” di Beethoven, ascoltata attraverso l’interpretazione di sua cugina, le ha cambiato la vita. L’artista si trova spesso a confrontarsi con l’ascolto, la lettura, la visione di opere altrui che apprezza a tal punto da ritrovarsi dinanzi ad un foglio bianco chiedendosi se valga la pena scrivere, dipingere, comporre qualcosa, pensando che ormai sia stato già scritto, detto, composto tutto. Secondo te, c’è ancora da dire, cantare, scrivere?

«La musica classica è la grande scuola, da cui si apprendono lessico e sintassi di base: melodia, armonia, forme, orchestrazione. Ho avuto la fortuna di avere un ottimo orecchio musicale. Questo mi aiuta a tradurre musicalmente idee, pensieri anche suoni impensabili come il “la – fa – la – fa” che si ascolta in auto quando non hai ancora messo la cintura di sicurezza. I grandi maestri del Novecento, compresi quelli della musica popolare come Antonio Carlos Jobim, Michel Legrand, Burt Bacharach, rappresentano una scuola di armonia attualissima, come del resto il grande Romanticismo ottocentesco: da Chopin a Debussy fino a Maurice Ravel. Oggi occorre ripartire dall’ascolto di questa musica, iniziando da Bach e Beethoven. Nell’ultimo ventennio è cambiato tutto troppo velocemente, la mistificazione è degenerata, nonostante il tanto progresso la curva dell’umanità è d’involuzione a livello etico estetico e spirituale. Per migliorarla si dovrebbe tornare agli anni ’20, in quegli anni che nonostante tutte le crisi, post-guerra mondiale, sono sorti tutti i movimenti culturali che hanno influenzato noi occidentali fino agli anni 60, dal surrealismo alla beat generation. In mezzo alle crisi di guerra l’arte conservava i grandi valori, ma alle avanguardie di quel periodo oggi, un secolo dopo, si risponde con un’involuzione totale, condizione – questa – che rende difficile l’approccio dei giovani alla strada maestra, quella dell’ascolto e della percezione».

Lei predilige parlare per mezzo del pianoforte, piuttosto che utilizzare altri linguaggi. “Piano nudo” è un capolavoro di musica strumentale. I titoli di questi brani sono evocativi di temi attualissimi…

«È più facile parlare attraverso il piano che con le parole, la musica è un linguaggio universale che non ha bisogno di traduzioni. Quando arriva al cuore compie definitivamente la sua missione. Ciò che è importante è riuscire a trasmettere essenza musicale: magari in “Piano 3” – semmai lo realizzassi – sarò ancora più bravo nel dare forma a queste composizioni, momenti d’improvvisazione e melodie, tra blues e minimalismo classico, d’ispirazione modern jazz».

L’amore non si spiega”, “Ancora non mi stanco”, “L’amore trovato”, “Per ricordarmi di te”, “Tutto quello che un uomo”: sono solo alcuni dei suoi brani più celebri con cui ha cantato l’amore in tutte le sue “salse”. Molte donne si augurerebbero di ascoltare le parole delle sue canzoni dai discorsi dei loro amanti/amati. Viceversa, lei si è sempre distinto per una grande riservatezza rispetto alla sua vita sentimentale e privata…

«La vita privata resta come tale “privata”. Come non pensare a celebre film “The Truman Show” in cui il protagonista, ingabbiato in uno show, cerca quella che è detta “conferma sociale”. Ciononostante, spesso condivido momenti della mia vita attraverso i social sia perché non ho nulla da nascondere ma anche immaginando una sorta di famiglia allargata. Insomma, c’è una vita sociale ed una privata».

La musica può divenire un elemento di rivelazione di un lato essenziale della realtà spirituale? Battiato distinguerebbe “una via orizzontale che ci spinge verso la materia” ed una “verticale verso lo spirito”.

«La musica è Libertà. Soprattutto quella improvvisata. Nella genesi di qualsiasi espressione artistica, musicale, poetica, figurativa troviamo l’essenza dell’anima di chi la crea e il suo mondo spirituale. Tra le mie letture preferite, “L’essenza della Musica e l’esperienza del suono nell’uomo” di Rudolf Steiner si parla di mondo astrale e devachan, dell’Armonia delle sfere pitagoriche, delle proporzioni matematiche che hanno dato origine all’armonia e alla bellezza…».

Sine musica, nulla vita. Pochi giorni fa l’Afghanistan si è scoperta paese senza musica. Come non pensare alle parole di Cassiodoro “Se noi continueremo a commettere ingiustizie, Dio ci lascerà senza la musica”…

«C’è un’involuzione di caratura mondiale accelerata anche dalla pandemia. Ci stiamo allontanando sempre più dall’essenza musicale perché non c’è più armonia, ma solo “suono”, sufficientemente ben fatto. Certo l’atmosfera non è delle migliori, a Kabul i talebani hanno preso il sopravvento sulle libertà di un popolo. Non c’è musica, sport, convivenza a fronte di dittatura e repressione. La musica è fratellanza. Quale coraggio ebbe Battiato nel 1992 quando si recò a Baghdad per un concerto nel segno della pace. Oggi occorre maggiore spiritualità e ci stiamo riconvertendo attraverso l’isolamento e il silenzio vissuto nei mesi del lockdown. Tra segnali di vita e contraddizioni c’è la speranza della fede, che passa attraverso la bellezza. Ciò ci aiuta ad affrontare il futuro con più serenità e maggiore consapevolezza, per captare nell’aria le onde musicali benefiche, quelle che fanno bene al cuore».

PIERLUIGI CASTELLANETA

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