“Giornata della Donna”, tra rivoluzione e diritti negati

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La Giornata Internazionale della Donna, celebrata l’8 marzo di ogni anno, è un’occasione per tirare le somme sui progressi della cosiddetta “rivoluzione di genere”, fondata sul raggiungimento della parità dei diritti per ogni essere umano, al di là di qualsivoglia etichetta sessista. Un traguardo nient’affatto scontato, e men che mai vicino, se si soppesano le discriminazioni e le disuguaglianze che permeano – più o meno consciamente – il nostro tessuto socio-culturale.

A margine della “lanterna di libri” – la coraggiosa iniziativa che l’Amministrazione ha ideato per omaggiare la “Giornata della Donna” – abbiamo chiesto ai consiglieri Giannalisa Zaccheo e Lilli Susca una riflessione sul valore che questa ricorrenza riveste ai nostri giorni.

GIANNALISA ZACCHEO: “ABBIAMO ANCORA TANTO DA CONQUISTARE”

Giannalisa Zaccheo

«L’Otto Marzo per molti è la “Festa della Donna”; l’Otto Marzo, invero, non è una festa, è una giornata nel corso della quale in quasi tutti i Paesi del Mondo ci si sofferma sui diritti negati alle donne. Pertanto, non vedo cosa ci sia da festeggiare. Di solito si festeggia un risultato raggiunto, una conquista compiuta.

Se analizziamo le condizioni delle donne in tutti i Paesi, anche in quelli più civilizzati come il nostro, ci accorgiamo che le donne hanno ancora tanto, troppo, da conquistare. In Italia, dall’inizio di quest’anno si sono registrati ben 13 femminicidi: quasi tre femminicidi ogni 15 giorni! Ci rendiamo conto? Nel corso del 2020, a causa della pandemia, sempre in Italia, secondo l’Istat, su 101 mila nuovi disoccupati, 99 mila sono donne, esattamente il 98%, nonostante sia in vigore il blocco dei licenziamenti. Di fatto la crisi sanitaria e quella economica stanno ampliando un “gap di genere” già presente in un contesto di normalità. Basti pensare alla differenza di retribuzione tra i lavoratori e le lavoratrici che a livello mondiale si attesta sul 20%, da sempre.

Per non parlare della partecipazione delle donne alla vita politica… Turi sembra un’isola felice con le sue 7 donne che fanno parte del Consiglio comunale e che vede una donna sindaco. Ciò non basta, infatti, chiediamoci: quante donne da noi si interessano attivamente alla vita politica? Temo poche, perché sono oberate da mille impegni tra lavoro, casa e famiglia. Esattamente come la sottoscritta – appartenente alla generazione delle “regine delle casa” – che, però, vive la politica come una vera passione da sempre e vi si dedica da un po’, da quando, appunto, i suoi figli sono diventati più grandi, sacrificando comunque il suo poco tempo libero a disposizione. Invero, alla vita politica ci si dovrebbe dedicare per diritto e per dovere, non solo per passione, e a prescindere dal genere.

Quanto detto, denota, ahimè, un’altra carenza: quella culturale, che vede la donna fisiologicamente preposta ad assolvere tutte le funzioni casalinghe. Vorrei approfittare per evidenziare che l’idea della donna come, appunto, “la regina della casa” è sorta per una esigenza antropomorfa: dall’alba dei tempi la donna si occupava delle faccende domestiche, perché l’uomo, fisicamente più forte, doveva occuparsi della caccia, dei campi e, all’occorrenza, difendere la dimora dagli attacchi esterni di belve e di altri uomini.

Credo che sia giunto il momento di evolverci dallo stato “primordiale” e insegnare ai nostri figli che in casa si collabora tutti, maschi e femmine. Perché, solo partendo dall’educazione familiare in cui non c’è differenza di ruoli si raggiunge il traguardo della pari dignità. Sia maschi che femmine potranno avere a disposizione lo stesso tempo, da impiegare in attività diverse dal lavoro e dalla casa. Solo così potremmo portare a compimento la “rivoluzione di genere”. Poi, attraverso la cultura, dobbiamo impegnarci a divulgarla al di fuori dei nostri confini, mentali, sociali e geografici. Quando la “rivoluzione di genere” sarà compiuta in tutti i Paesi del Mondo, solo allora l’Otto Marzo diventerà una festa, ma per questo, temo ci vorrà un altro millennio».

LILLI SUSCA: “L’8 MARZO È E RESTERÀ SACRO”

Lilli Susca

«La Giornata Internazionale della Donna si celebrò per la prima volta in Italia nel 1922, quasi cento anni fa. In altre parti del mondo, come in Russia, negli Stati Uniti e in Germania, la sua istituzione risale ad una decina di anni prima, quando gruppi di donne coraggiose decisero di unire le forze per rivendicare i propri diritti, primo fra tutti quello di voto. L’unione diede loro il coraggio di denunciare soprusi, chiedere parità di trattamento nel mondo del lavoro, pretendere rispetto e supportare la loro controparte maschile nelle lotte sociali. E in quelle rivoluzioni, in cui le donne erano in prima linea, molte persero la vita, tantissime la libertà. Come si può pensare di non voler più rendere onore a coloro che hanno dato il là ad un lento processo di cambiamento che oggi ci permette di votare e di essere votate, di lavorare, di abortire, se necessario, di divorziare? Lascio agli anticonformisti la solita solfa secondo la quale la giornata della donna debba essere celebrata tutto l’anno. Per me l’8 marzo è e resterà sacro. Sempre. Finché campo. Perché quelle donne meritano un pensiero speciale, come lo meritano i morti, i santi e persino i cornuti. Perché c’è ancora tanto da fare e uno sguardo alla storia non può che dare una spinta in più a noi e alle future generazioni.

“Mettiamo le ali ai libri”

La nostra villa comunale si va arricchendo ultimamente di simboli importanti, che fanno ben sperare per il futuro: una panchina rossa come denuncia delle violenze di genere e una lanterna contenente libri, come invito alla lettura. Essendo una lettrice “forte” non posso che essere felice di questa seconda iniziativa, perché mi auguro che qualcuno si avvicini alla lettura, per curiosità, magari, o per sfida, chissà… Devo ammettere, però, di non aver ben compreso le modalità. Come funziona? Si tratta di un’iniziativa di BookCrossing, che prevede la libera circolazione di libri, basata sul concetto che i libri debbano passare di mano in mano, essere presi in prestito, portati a casa, letti e poi riportati o sostituiti con altri? Da quanto leggo, mi pare di capire che invece il libro possa essere letto solo lì, sulla panchina rossa. Quindi, se qualcuno volesse leggerlo, sarebbe costretto a farlo sapere a tutti, ad esibire il gesto del leggere, cosa che ritengo, al contrario, fra le azioni più intime in assoluto. L’Amministrazione ha voluto fare questo bel gesto, investendo, seppure una piccola cifra, in cultura. Benissimo! Ma facciamo le cose come si deve. Mettiamo le ali ai libri, facciamoli circolare liberamente. Esistono delle organizzazioni che si occupano di BookCrossing e sono facilmente rintracciabili in rete. Coraggio! E se un ragazzino rubasse un libro non potremmo che esserne felici tutti quanti. Un paese assediato da ladre e ladri di libri sarebbe certamente un bel posto in cui vivere, un posto migliore. E se poi si riuscisse anche a far funzionare la nostra biblioteca comunale… Che bella festa sarebbe per tutti!».

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